Potrebbe suonare scontato chiedersi a cosa serva la psicologia nel mondo del lavoro, visto che da qualche decennio il concetto di risorse umane si è diffuso e normalizzato e la psicologia stessa si è espansa in tutti i settori della nostra vita.

Sappiamo perfettamente che da quando un candidato bussa alle porte di un’azienda, la psicologia risponde. Eppure diamo per ovvio quanto sia essenziale strutturare un profilo di personalità e capire in quale ruolo si colloca meglio, al fine di implementare la sua efficacia, oltre alla sua produttività. In fondo, un contratto di lavoro non si differenzia da un matrimonio duraturo e felice: il buon esito dipende per entrambi dalla scelta iniziale.

La psicologia serve quindi per dare un orientamento iniziale che coinvolga entrambi le parti, candidato e offerente, per una semplice ragione: evitare che una scelta sbagliata oggi si riveli un problema per entrambi domani. Considerando che passiamo gran parte della nostra vita lavorando, è pianificando, mantenendo i contatti e aggiornandoci di continuo che comprendiamo come la vita privata ruoti attorno a quella lavorativa.

Questo cambiamento epocale ha modificato e riorganizzato gli orari di una serie di servizi.
Per questo il lavoro diviene sempre più qualificato e la scelta sempre più fondamentale: se infatti facciamo ciò che ci piace, quello per cui ci siamo formati, la vita di sicuro è migliore.
Questo non implica che tutta la nostra realizzazione debba circoscriversi unicamente al lavoro, anzi. È semplicemente una costatazione da tenere in considerazione.

Visto che lavorare è indispensabile e che dobbiamo dedicargli una parte della nostra vita, diviene basilare cercare qualcosa che con il tempo ci piaccia comunque, ci appartenga e a cui apparteniamo. Senza cercare la perfezione e cancellando convinzioni relative al fatto che il lavoro debba essere facile e a nostra misura. Aspettative sbagliate creano delusione e frustrazione. Il tempo speso sul lavoro non è un elemento irrilevante, per quanto sia alla lunga stressante e rischia di non farci coinvolgere pienamente e in modo sano in altro.
Una riflessione: quante persone intorno a te vivono la maggior parte del loro tempo lavorando o parlano esclusivamente di lavoro?

 

LA SCELTA DEL LAVORO

Scegliere ciò che ci piace non è facile, perché non è solo questo che ci rende soddisfatti, lo è anche ad esempio quanto siamo in sintonia con i valori di un determinato lavoro, quale vision ha l’azienda per cui ci candidiamo, di quale mission vogliamo far parte. Accade che non si tiene conto di questo lato all’inizio, la candidatura si basa ancora molto sul curriculum di studio, meno sulle attitudini interiori, senza contare che sempre più spesso i profili ricercati si assomigliano per il tipo di risposte che danno.

Ad esempio tutti sono capaci di comunicare, ma quanto sanno realmente ascoltare?
Lavorare in team presuppone delle qualità personali specifiche: sapere quali sono i nostri valori guida, cosa ci stia realmente motivando verso quel lavoro, sapere chi siamo realmente.

Rispetto al passato le skill professionali sono considerate essenziali quanto quelle personali.
La flessibilità, la resilienza e l’adattamento, sono entrati nel vocabolario comune molto velocemente. Infatti se le competenze possono essere migliorate attraverso corsi di perfezionamento, più difficile è imparare a gestire in poco tempo qualità mancanti nella personalità. Per questo i colloqui sono più numerosi, per comprendere chi si ha realmente davanti oltre il primo impatto o ciò che viene annoverato in un curriculum vitae.

 

LA GESTIONE EMOTIVA

Ci sono aspetti che vengono presi in grande considerazione: uno tra tutti è la gestione emotiva. Essere in contatto con sé stessi è un fattore molto centrale nella vita di un individuo, implica avere contatto con ciò che accade dentro di sé: sensazioni, pensieri, emozioni.
Non avere questo radar può compromettere la vita intera, generando un’incapacità di gestione verso sé stessi e verso gli altri in un momento delicato della vita. Quello che accade intorno a noi, spesso anche quello che accade dentro, per forza di cose ci trasforma.

Prendiamo ad esempio una persona che non ha esperienza di vita e non sa come reagirà di fronte a un evento stressante, evento che potrebbe essere piccolo o enorme. Diviene piuttosto importante capire come quella persona risponderà, se avrà un crollo, se lo farà presente o chiederà aiuto, come si attiverà allo stress, se riuscirà a restare in equilibrio e questo per un eventuale calo lavorativo per un senso di fallimento che potrebbe ripercuotersi in tutte le aree della sua vita.

Ciò non significa che tutto è prevedibile e che bisogna assumere in modo rigido solo persone potenzialmente molto strutturate o molto risolte, quanto semplicemente persone che si conoscano e sappiano gestire le loro reazioni emotive. Persone che abbiano un contatto autentico con sé stesse, in grado di prendersi cura della propria vita. Tale capacità si chiama self-leadership ed implica equilibrio in situazioni avverse.

Il compito delle risorse umane è proprio quello di capire se la persona si trovi meglio in un ruolo o in un altro, dato il suo carattere oltre alle sue competenze. Avere questo senso di padronanza interna dà un reale senso di sicurezza e di onestà alla persona.

Avere una buona gestione emotiva permette infine di innalzare la capacità di resilienza elevando la tolleranza alla frustrazione: se la tolleranza è bassa, ogni impegno viene vissuto in modo pesante e sovente potrebbe incapaci di gestire del tutto una situazione difficoltosa.
Chi non si conosce non si rende conoscibile, con il pericolo perciò di una risposta del tutto ignota e ingestibile pertanto anche sul lavoro.

 

LA FORMAZIONE

Mentre il boom dei corsi di crescita personale ha avuto un arresto dopo un’iniziale diffusione capillare qualche anno fa, resta alta la richiesta nel mondo del lavoro. La considerazione che ne consegue è che nel mondo professionale la ricerca dell’ottimizzazione resta un campo fertile, in cui ci si rende conto che il lavoro psicologico su di sé produce un incremento dell’entusiasmo, della gestione, del rapporto con i colleghi, nonché dell’efficacia con cui si lavora. Chi lavora soddisfatto si ammala di meno, sa gestirsi meglio, è meno sottoposto alle conseguenze di una crisi o resiliente allo stress.

La psicologia in questo senso ha dimostrato che può migliorare aspetti del sé e ottimizzare capacità interiori. Si occupa del benessere dell’individuo. E il benessere di un individuo, moltiplicato, diviene benessere per la comunità intera.

 

Dott.ssa Rebecca Montagnino